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leggere nuoce gravemente all'ignoranza

Chopin (e non ti chiederò scusa)

di Barbara Bolzanuna volta mi hai spezzato il cuore. Oggi hai fatto fiasco
E non ti chiederò scusa se ho sbagliato: era un calcolo consapevole.
Mi hai dato tutto senza riserve. In cambio, hai ricevuto un molto poco che rasenta il niente. Di questo non ti chiederò scusa.
Se a volte sembrava assecondassi i tuoi sogni, i tuoi desideri, se hai avuto l’impressione che fossi nata solo per te, se non ti ho contraddetto e ti ho lasciato credere ciò che volevi credere, io non ti chiederò scusa.
Continuerò a parlare di te, porterò in giro la tua anima di silenzi, arte, musica ed occhi chiusi. Lo farò ed avrò sulle labbra un sorriso sconosciuto, un angolo della bocca appena sollevato. Lo sguardo sarà dritto e senza vergogna quando mi chiederanno di te e risponderò che non hai significato nulla, che sei stato solo altro inchiostro per riempire un’altra pagina.
Mi cantavi «Quanto t’ho amata e quanto t’amo non lo sai, nell’amor le parole non contano, conta la musica». Ascoltavo in silenzio. Aspettavi una mia parola. Non l’ho pronunciata. Di questo io non ti chiederò scusa.
E non chiederò scusa se un giorno hai aperto gli occhi ed io non c’ero (un’ultima lite, le tue parole cattive). Quello che ti ho lasciato è stato solo una stanza vuota.
Da allora ti ho dato la buonanotte senza vederti, ognuno disperso per il mondo, davanti a due oceani diversi, tu che guardavi le barche a vela, io che tenevo il naso all’insù e guardavo il cielo di Londra. Non chiederò scusa per le notti che ti ho fatto trascorrere insonni, mentre io dormivo tranquilla in ben altri letti e tutt’intorno c’era un silenzio da benedizione e sentivo, senza te, di essere in pace.
E non ti chiederò scusa se ho lasciato trascorrere anni prima di ricomparire all’improvviso. Ho riportato indietro le ore e sono rientrata nella tua vita senza bussare, sconvolgendoti quel poco che ancora rimaneva da sconvolgere.

Ora non è più tempo di spiegarti cosa pensavo quando ti dicevo «ti amo».
Tornando, ho scoperchiato il tuo mondo. Mi tenevi le mani. Io riuscivo solo a pensare che una volta le tue parole mi avevano spezzato il cuore.
Sono tornata ed ero più cattiva, più meschina di prima, i miei sorrisi nascondevano il coltello che portavo nella saccoccia. Di questo non ti chiederò scusa.
Non ti chiederò scusa se ho mentito, se l’opera 35 in si bemolle di Chopin non mi apre il cuore, se guardare un tramonto mi annoia, se il romanticismo non è nulla per me, se fremo di insofferenza e rabbia quando mi parli, se fremo di insofferenza e rabbia quando stai zitto, se non sopporto nulla di te, nemmeno il tuo odore.

(Perché quel giorno d’estate sono tornata non te lo dirò mai).

Oggi che cerchi la luna ed io sono l’eclissi, oggi che suono Mozart con le dita stanche e le unghie lunghe si incastrano tra un tasto e l’altro, oggi che sono in attesa di aprirti la porta per l’ultima volta, oggi non ti chiederò scusa se ho preso tutto di te e dalla mia Parigi l’ho disperso per il mondo facendolo conoscere ad estranei (il tuo nome scritto con la mia grafia da penna stilografica, i tuoi tradimenti e la tua vita, i miei falsi tradimenti e le tue paure, ogni tuo più recondito volere e pensiero e desiderio, la mia firma in basso a destra – George Sand –).
A tutti ho raccontato chi eri e chi sei e cosa ero io per te – una donna che veste pantaloni da uomo, nulla di più.
A tutti ho raccontato che hai chiuso il coperchio del pianoforte e te ne sei allontanato, ormai vecchio e stanco, eppure ancora così giovane.
A tutti ho raccontato che hai rinunciato. Oggi ti spingo a forza sotto i riflettori di questa deliziosa commedia che ho scritto ed inscenato solo per te.

E non ti chiederò scusa se mento – qui, ieri, oggi, domani e per sempre –, se non saprò mai dirti quanto ti ho amato e quanto ancora ti amo, se non saprò mai dirti che un accordo di settima diminuita mi causa dolore perché mi riporta in qualche modo a te, se non saprò mai dirti che mi si inumidiscono gli occhi al pensiero di quando suonavi solo per me in quella soffitta di Maiorca ed era sempre un concerto.

Non ti chiederò scusa se, quando arriverai, ti bacerò sulle guance e sarà il bacio di Giuda. Ma guardami ancora, ascoltami ancora, è l’ultima volta, perché da oggi in poi tutto ciò che ti dirò non sarà mai la verità.
E di questo non ti chiederò scusa.
(anno 2007)

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Il paradosso di Epimenide

Il cretese Epimenide un giorno, nel VI secolo a.c., se ne uscì con una frase:"Tutti i cretesi sono bugiardi" che passò alla storia come "il paradosso del mentitore" e rimbalzando da Socrate, Platone , Aristotele fino a Diogene Laerzio e gli scolastici e tanti altri ancora, finì, agli inizi del XX secolo, con l’arricchire la fama di Russell che la usò, riempiendosi di gloria, per scardinare alcuni fondamenti della matematica (insiemistica in particolare). Questo paradosso, che sarebbe più corretto definire antinomia, prese quindi il nome di "Paradosso del barbiere" ed in questa nuova veste, si presentava così: "In un villaggio c'è un unico barbiere. Il barbiere rade tutti (e solo) gli uomini che non si radono da sé. Chi rade il barbiere?" Uscendo da metafora e tornando al racconto di Barbara, la sensazione che si prova leggendolo, è proprio nella difficoltà d'inquadrare i personaggi così contraddittori e sfuggenti ad ogni logica (anche se forse rispecchia in parte la biografia di George Sand). Ma forse il fascino del racconto sta proprio qui.

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