scrigno

leggere nuoce gravemente all'ignoranza

Tu mi ami. Il fatto è che non lo sai (più)

di Barbara Bolzanpensare che il mese più crudele sia aprile,
significa non aver mai affrontato un agosto con te

Più ci penso e più vedo che gli uomini sono straordinari.
Prima sei la donna della loro vita e sarebbero persino disposti a gettarsi nel fuoco, per te. Poi, spariscono con la velocità di Schumacher nei suoi storici sorpassi a danno di Hakkinen.
Sono in grado di innamorarsi tre volte al mese e se per una volta è lei che pianta lui, le loro capacità linguistiche sfiorano l’eccelso: io non ho mai sentito una litania di epiteti tali da far invidia al più sboccato scaricatore di porto simile a quella che esce dalla bocca del mollato di turno.
Sempre parlando delle attitudini linguistiche, a favore del genere maschile bisogna riconoscere che anche la capacità di sintesi non è da trascurare. Nei soli centosessanta caratteri di un sms (anche meno, se uno è davvero in gamba) arrivano dritti al sodo, riuscendo a convincerti di valere meno di un insetto nano.
Sì, gli uomini sono straordinari.
Non per fare del campanilismo, ma tu sbaragli la concorrenza, quando ti ci metti.
Non è tutto merito tuo. Ti spiego: è stato quando hai tentato di litigare con me. È stato allora che ho avuto la certezza: non è tutta farina del tuo sacco. Esiste un manuale. Voi uomini ci studiate sopra fin dalla prima elementare.
Il pensiero mi ronzava in testa già da un po’.
Mi hai guardata nel modo che è preludio di ciò che conosco bene, così mi sono preparata all’impatto. Mi aspettavo che pronunciassi una delle tue solite frasi. E infatti lo hai fatto. L’unico dubbio era: quanti secondi sarebbero intercorsi tra le mie ultime parole e l’inizio delle tue? Tre? Quattro? Sono stati cinque.
Mi hai rinfacciato il velo di non-so-cosa reciproca che costella il nostro rapporto. Lo hai fatto come se la colpa fosse esclusivamente mia. Questo dimostra per lo meno l’assenza di un vocabolario sulle mensole della libreria di casa tua, perché altrimenti sapresti che reciproco vuol dire tu ed io e non io sola.
Ma è una sottigliezza troppo complessa. Un giorno cercherò di spiegartela – il giorno in cui comincerò a comunicare con te attraverso schemini e disegni, come si fa con i marmocchi in età prescolare.
Avevo meno incomprensioni col fidanzatino del liceo. Già allora, pertanto, il concetto mi era palese: se voi uomini fraintendete, è perché volete fraintendere.
Siccome odio discutere quando so di essere dalla parte della ragione, ne consegue che odio discutere con te in assoluto. Tanto, va a finire sempre allo stesso modo: la strega sono io.
Così, ho lasciato perdere.

(Forse è il caso di dire com’è iniziata.
Il fatto che io disprezzi l’intero genere umano è assodato, ma questo non esclude che anch’io possa innamorarmi, e infatti è accaduto.
Ogni donna possiede un lanternino, ed è infallibile. È stato così che ti ho trovato: con il lanternino.
C’erano nell’aria tutti i segnali che mi suggerivano che fosse meglio chiudermi in casa per almeno tre mesi. Il principale, era che l’ultima storia era da poco finita. Mai guardarsi intorno dopo che l’uomo con il quale sei stata per un anno e mezzo ha fatto fagotto – va bene, in quell’occasione lo avevo invitato io a fare le valigie, mostrandogli elegantemente la porta. In quell’occasione, strega lo ero stata per davvero, ma non ha importanza. L’importante era che era finita da una settimana e, come Meg Ryan, ero «ancora in periodo di lutto».
C’erano tutti i segnali che mi suggerivano di girare i tacchi e non incrociare il tuo sguardo. Non l’ho fatto.
E mi sono innamorata).

Adesso è passato del tempo da quando il lanternino ha illuminato proprio te, e ormai tra noi le cose sono andate come sono andate.
Resta pertanto il fatto che entrambi ci vantiamo di essere persone civili e adulte, quindi perché mai perdersi di vista?
Oggi ti ho telefonato. Ho lasciato due messaggi in segreteria. Niente.
Quando hai richiamato (con il tono di chi si abbassa a fare un favore), stavo uscendo. Nel mio appartamento mancavano i generi di prima necessità (i surgelati, il cibo precotto e l’ultimo dvd di Johnny Deep).
«Devo fare un salto al centro commerciale». Ho detto. E qui è accaduto il miracolo.
«Vengo con te?» Hai proposto.
Ho accettato. E mi hai accompagnata.
Questo significa, checché tu ne dica, che siamo ancora una coppia. O che potremmo tornare ad esserlo in tempi brevi. Supermercato e un carrello in due è amore vero.
Sono nata dopo il ’68, la rivoluzione femminista non mi ha intaccata, quindi ho pagato io sia la mia spesa che la tua camicia azzurra in saldo al reparto abbigliamento maschile. In quel momento, mi sono sentita ancora la tua fidanzata.
La cassiera ci ha sorriso e a quel punto ho saputo che la pantomima «abbiamo in comune un pezzetto di passato ma siamo pur sempre ex» stava per andare in pensione.
In un eccesso di euforia, ti ho invitato da me perché, come diceva Jessica Lange a Dustin Hoffman in Tootsie, «Io scongelo da dio».
Mi hai fatto notare che io sono capace di bruciare anche i quattro salti in padella. Questo significa che non hai dimenticato il nostro passato. È un ottimo segno – il primo che mi elargisci da quando mi hai mollata sui due piedi.
Sei salito da me.
Ho deciso di farti vedere in me ciò che ogni uomo agogna (trovare in un’esponente dell’altro sesso qualcosa che richiami mammà).
Mi sono affaccendata ai fornelli.
Eri appoggiato allo stipite e mi guardavi. Mi sentivo sotto esame e lo ero. Devo trarre il meglio di me, mi sono detta, devo prepararti una cenetta da lasciarti senza fiato, una cenetta che ti farà tornare sui tuoi passi e ti porterà a supplicarmi di tornare con te.
Ti ho lasciato senza fiato. Come da copione, sono riuscita a bruciare il pollo alla diavola. Abbiamo aperto le finestre per far uscire il fumo.
«Pizza?» Ti ho proposto. Ce n’è una da asporto a nemmeno centro metri da casa mia.
Tu hai detto che domani avevi una giornata pesante, una riunione con alcuni colleghi americani e mi hai chiaramente fatto capire l’antifona.
Non ho battuto ciglio.
Ti ho accompagnato alla porta. Il mio cuore era infranto, ma ti ho sorriso perché The Show Must Go On è una delle linee guida della mia vita. Ti ho persino augurato la buona notte.
«Idem», mi hai risposto, col tono che solitamente uso io.

Poi è arrivato agosto e siamo partiti per le vacanze. Vacanze separate. Tu con amici che, come te, non devono chiedere mai. Io, con amiche sentimentalmente ipocrite che assicurano di avere un cuore impermeabile alle vostre consuete scorrettezze.
Poi, appena alla radio passano una canzone di Tiziano Ferro, tutte giù a sprecare un fazzoletto dopo l’altro e dire che Tiziano sì che sarebbe il fidanzato ideale, lui non ci farebbe soffrire, lui chiederebbe perdono e ci regalerebbe quella rosa tanto sospirata e ci direbbe: se quel che è fatto è fatto io però chiedo scusa…

E dire che te l’avevo buttata lì io, la faccenda delle vacanze separate. Va bene, non siamo più una coppia quindi perché mai andare insieme in villeggiatura, ma comunque il mese scorso ci siamo fermati davanti alla vetrina di un’agenzia turistica a fantasticare su quanto dev’essere bella la Giamaica e in quel momento eravamo persino abbracciati. Qualcosa doveva pur significare, no?
Solitamente il topos comincia con «Abbiamo bisogno dei nostri spazi», ma questa te l’ho risparmiata. Anche se a volte finiamo col dormire insieme, i nostri spazi li abbiamo già, anche fin troppi.
Ho solo detto qualcosa che poteva suonare come «dovremmo vedere altre persone», frase che in condizioni normali non pronuncerei nemmeno se minacciata con una pistola alla tempia. Frase che significa che non sono stupida, so perfettamente che tra noi non intercorre nessun obbligo e tu vedi già altre persone, non devi certo rendere conto a me che sono semplicemente la tua ultima ex degna di nota. Frase che significa che tu fai la tua vita – ma che almeno non fa capire che io sto qui come una cretina a fissare il telefono in attesa che squilli.

Noi siamo innamorate di Rhett Butler fin dall’infanzia, emblema di ciò che sei (stronzo) ma con ciò che in fondo ti manca (il cuore). Nel senso: Rhett va anche nel bordello di Bella, ma in fin dei conti è solo per vendetta. Il capitano Butler ama Scarlett, la ama davvero e ne è conscio.
La differenza tra lui e te è proprio questa. Tu mi ami, ma ancora non ti sei arreso all’evidenza. Molto semplicemente.

Siamo partiti per le due vacanze.
Ho tenuto il cellulare costantemente in carica, per evitare che morisse un nanosecondo prima che tu avessi la bontà di chiamarmi per sentire se ero ancora viva. Ma tu non mi hai chiamata. Nemmeno i tuoi cloni hanno chiamato le mie amiche (ad ogni presa dell’appartamento era attaccato un diverso modello di cellulare. Cinque amiche, cinque cellulari, cinque stronzi).
Poi però mi sono stufata, ho buttato a mare i miei princìpi – quelli per i quali tu sei l’uomo che non deve chiedere mai ma tanto la più forte sono io e non solleverò mai la cornetta per prima.
Ti ho mandato un messaggino strappalacrime: «Dove diavolo sei?»
Non hai risposto, così come non hai risposto agli altri ventiquattro che sono seguiti (e un giorno ti metterò in conto la spesa delle ricariche telefoniche che ho scialacquato per te da quando ti conosco). Non hai nemmeno risposto alle mie sette telefonate (una ogni due giorni, per non sembrarti ossessiva).

Me lo chiedo quotidianamente: Siamo alla fine del nostro amore?
Me lo chiedo anche qui sul lungomare, mentre abbrustolisco le mie forme protetta dal bikini rosa e dalla crema solare.
Poi, prevale il briciolo di razionalità che mi è rimasta (mutuata dalle prediche delle mie quattro amiche e soprattutto da quelle di Laura, che sta con un uomo da tre anni ed ogni giorno spera che lui si decida finalmente a chiedere il divorzio dalla moglie).
Dicevo: razionalità e Laura mi han messo davanti al fatto che non siamo proprio alla fine di nulla, perché al momento non c’è nessun insieme a te, non essendoci più stato tra noi alcun inizio degno di nota da quando mi hai piantata.

Agosto è finito. Foderate di fedeltà canina, non abbiamo degnato di un’occhiata né i bagnini né i camerieri abbronzati del ristorante che ci vedeva ospiti fisse.

Tornati in città, hai aspettato due giorni prima di farti vivo.
Hai un’esistenza impegnata: è fine estate, quindi l’inverno si avvicina e, prima di concederti questi due minuti per guardarmi in faccia, dovevi assolutamente (nell’ordine):
1. passare in un negozio specializzato per comprare un cappottino al barboncino che non hai
2. aggiustare il cancello elettrico a tua nonna (che vive in una corte del 1930 e non ha cancello, tanto meno elettrico)
3. polemizzare con il falegname perché ha sbagliato a prendere le misure della cassapanca che gli avevi ordinato a luglio
4. polemizzare con gli operai che, non avendo sigillato bene un tubo, ti hanno allagato il bagno (a te e al tizio che abita al piano di sotto). Solo tu trovi operai in agosto
5. portare l’auto dal meccanico perché hai forato la marmitta.
Arriviamo al dunque.
Sdraiato sul mio letto, ti sei finalmente deciso a spiegarmi perché per quindici caldissimi giorni d’estate non ti sei degnato nemmeno di farmi uno squillo. Mi guardavi con un’espressione tra l’innocente ed il coma semi vigile quando hai rivelato di aver dimenticato in città il cellulare (acceso… solo le mie batterie danno forfait dopo una settimana). I tuoi amici erano sì dotati di telefonino ma, siccome non siamo una coppia, non ricordavi a memoria il mio numero.
E quindi ho avuto l’ennesima conferma. Esiste un manuale sul quale voi studiate. Ve lo tenete sul comodino accanto al letto e lo nascondete un secondo prima di aprirci la porta, per paura che anche noi ci si impegni a leggerlo e si impari così qualcosa.
Esiste un manuale. Altrimenti, per una volta, mi diresti la verità («Non avevo voglia di chiamarti») senza bisogno di ricorrere a scuse idiote.

(Quando quattro ragazze su cinque assicurano che l’ultima giustificazione per l’ennesimo appuntamento mancato senza preavviso è stata «dovevo accompagnare mammà a fare la spesa», qualche dubbio sull’esistenza di quel manuale ti viene. Inoltre, non è possibile che tu assicuri di passarmi a prendere alle tre e poi non ti fai vedere e il giorno dopo ti degni di farmi sapere che, guarda, non ci crederai, ma un satellite russo mi è caduto proprio nel giardino di casa, là dove c’è lo stagno coi pesci rossi, ed abiti perfino in un condominio senza nemmeno una striscia d’erbetta).

Sdraiato quindi sul mio letto, mi stai spiegando tutto questo.
Non ti stai scusando. Stai semplicemente constatando un dato di fatto (il cellulare dimenticato in città) e vuoi mettermene a parte. Sono sul punto di ringraziarti per questa gentile concessione.

(Lui salva la Russia restituendole i satelliti che si perde in giro per il cosmo. Io non mi azzardo a replicare perché altrimenti passo per insensibile, non avendo la minima intenzione di aiutarlo a rimettere quel catorcio in orbita).

Ultima considerazione:
Quando ancora sapevi di amarmi, mi portavi al mare e mi guardavi con le stelline negli occhi mentre ero stesa sul mio asciugamano con disegnati i gattini. Non ti lamentavi per i quaranta gradi all’ombra, né per il fatto che fosse mezzogiorno, né per il fatto che il sole fosse davvero a picco, né per il fatto che non ci fosse nemmeno un ombrellone e tu hai una pelle che si ustiona anche nell’ora che precede l’alba.
Quando ancora sapevi di amarmi, non partivi per quindici giorni in compagnia di amici. Partivi con me.
Quando ancora sapevi di amarmi, lasciavi che fossi io ad avere l’ultima parola ed ogni nostra discussione si concludeva vedendomi vittoriosa.
Quando ancora sapevi di amarmi, potevo permettermi di mandarti a quel paese come e quando volevo, tanto sapevo che dopo saresti tornato strisciando anche se la colpa era esclusivamente mia e mi avresti domandato perdono per un errore che era da imputare a me sola.
Quando ancora sapevi di amarmi, non dovevo mettermi a fare le grandi pulizie di primavera, se sapevo che saresti passato da me.
Quando ancora sapevi di amarmi, non c’era bisogno che io ti facessi buona impressione.
Quando ancora sapevi di amarmi, non dovevo combattere con i miei capelli, che non sono né lisci né mossi. Cioè, che sono sia lisci sia mossi, senza soluzione di continuità. A quel tempo non mi importava, non passavo ore ed ore davanti allo specchio per renderli gradevoli alla tua vista. Potevo anche presentarmi a te così come sono adesso (spettinata, in tuta e ciabatte), perché mi avresti comunque detto «Sei bellissima» e me lo avresti detto col tono di quello strano uomo che amava Loredana Bertè – almeno nei primi versi della canzone.
Quando ancora sapevi di amarmi, non eravamo due ex sommariamente confusi (se non si fosse confusi, non si spiegherebbe cosa ci fai adesso nel mio letto).
Quando ancora sapevi di amarmi, non eravamo ex.
Quando ancora sapevi di amarmi, mi amavi.
Punto e basta.
(anno 2007)

esiste un'manuale

Barbara, mi piace tanto come scrivi e il modo come racconti la storia.
L'emozione è trasportabile con il tuo modo di trasmetterla ..
Complimenti.
Daniela da Praga

Per Daniela da Praga

Ho inviato il link del tuo bel commento all'autrice del racconto. Così anche lei potrà leggerlo.
Grazie per gli apprezzamenti anche da parte sua.
E benvenuta su scrigno

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Una stanza senza libri è come un corpo senza anima.

Grazie!

Cara Daniela,
ti ringrazio tanto per il tuo commento e per i complimenti. è vero, esiste un manuale che gli ometti usano (anche se non lo ammetteranno mai). eheheh...

Benvenuta tra noi di Scrigno!
Un abbraccio e a presto!

Barbara Bolzan

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