scrigno

leggere nuoce gravemente all'ignoranza

"Casta Diva" di Leila Mascano

di Leila Mascano
Eppure, da te non volevo nulla

Fosti tu a sfidarmi, Atteone, portando una fanciulla nel bosco a me sacro e violandone il casto silenzio coi tuoi giochi d'amore.Un raggio di luna vi sorprese e vi rivelò al mio sguardo. Trattenni con un gesto la muta ansimante dei cani dalle bocche feroci senza suono, come trattenevo il mio cavallo i cui zoccoli non hanno rimbombo. Amo il silenzio, Atteone, il candore della luna e del marmo, tutto quello che nulla contamina. Provo disgusto per il disordine confuso dei corpi: il vostro celebrato amore non è estetico, anzi è spesso francamente ridicolo.Ancora posso capire fauni e centauri, che il lato bestiale condanna al goffo parossismo degli amplessi....

Ti accanivi su quella fanciulla, di tutto ignaro se non di te, poiché mi parve che lei non fosse che lo strumento che ti riportava ad un colloquio più intimo con te stesso, con le radici del tuo piacere, e mi pareva che una sì brutale prepotenza non potesse essere punita che con la morte.

Poi vidi gli occhi di lei, che mi parvero due pozze d'argento, annegati in un'estasi che mi turbò. Non so se provai pena o rabbia per quello sguardo di bestia mansueta, vinta...Il gesto imperioso scattato per indicarti ai cani deviò su di lei , che da me resa cerva fu sbranata, lacerata, fatta a brandelli dalla muta impazzita. Mi parve di avere castigato anche te, e ti lasciai andare. Non avresti dimenticato facilmente la cerva dagli occhi d'argento.

Né io dimenticai te. Non so quale corruccio segreto mi prese: volevo rivederti. Nel mio animo albergava un cupo scontento. Diventasti la mia preda. Più ti seguivo, meno capivo cosa si agitasse dentro di me. Ti spiavo bagnarti nelle acque notturne della sorgente, e un desiderio inconcepibile di sentire se il tuo corpo avesse la gelida freddezza del mio mi prese. Anelavo al calore. Mi chiedevo come fosse il tocco delle tue mani. Carezzavi il tuo cavallo con gesti lenti e affettuosi. Scoccai un dardo invisibile. Lo uccisi.

Ti vedevo negli alberi, nell'arco dei rami seguivo la curva delle tue braccia, nel vento tiepido sentivo il tuo alito. Soffrivo di un'arsura che solo la tua bocca poteva placare, e m'interrogavo sul mistero del bacio, morso d'un frutto che non sazia e di cui rinnova il desiderio...E poiché tutto sembrava farsi abbraccio e carezza, dormivo sulla nuda terra, attenta che neppure le mie mani diventassero le mani di Atteone. Ma pure la terra sulla quale dormivo mi ricordava la compattezza del tuo corpo.

Le nuvole disegnavano il tuo profilo. Volevo suoni. Restituii la voce ai torrenti e le corde vocali recise dei cani tornarono ad abbaiare, a ringhiare...E i torrenti chiamavano Atteone, Atteone invocava il corno da caccia, Atteone sentivo perfino nel latrato dei cani.

Eppure, da te non volevo nulla.

Avvertivi la mia presenza, mi sfidavi Mi scorgesti osservarti immobile, mentre, come ogni notte, ti bagnavi. Uscisti dall'acqua impudico, vestito solo della perfezione del tuo corpo, e la tua bellezza mi faceva male al cuore. Mi guardasti come si guarda una donna, non una dea. Ridevi beffardo, sicuro di spegnere i fuochi d'orgoglio che rendevano così terribile il mio sguardo per darmi quegli occhi di bestia mansueta, vinta, che aveva la fanciulla che possedevi nel bosco.

Non sai quanto fosti vicino ad avermi. Ma sono una dea e il mio braccio scattò, indicandoti ai cani, perché mordessero, lacerassero, cancellassero nella tua carne il mio desiderio.

Potessero i cani divorare il mio cuore.

Nel silenzio del bosco dove tutto di nuovo tace, ombra tra ombre cavalco la notte. Rabbrividiscono i pastori e tacciono. Artemide è una dea feroce.

La donna

La donna, la dea, le lacrime che guastano il piacere: il migliore dei mali possibili, sulla terra!
Splendidi!

Fuoco e crudeltà

Rende tutta la passione, il potere, la crudeltà della dea questo racconto. E anche la sofferenza per la prigione che la costringe ad un ruolo che forse non vorrebbe.
Brava Leila!

Carla
http://cartaecalamaio.splinder.com/

Atteone,l'audace

Pulsano le vene del cacciatore incauto, gravide d’ormoni per la soave visione. Artemide divina, nuda alla sorgente, lo allontana fremente di desiderio ed ira. Si lamentano i cani che sbranano quel cervo, ignari di ferire l’adorato padrone.
Il mito si presta a diverse interpretazioni, ognuna con un suo preciso significato assiologico come è giusto che sia. Giordano Bruno lo prese ad esempio dl coraggio del filosofo che s’inoltra nella foresta della conoscenza, sfidando l’ira degli dei. Leila l’ha interpretato inondandolo di una carica emotiva tutta femminile, profumando la foresta di ataviche passioni ed investendo la dea del suo ruolo principale: affrancare l’uomo politeista dal peso delle passioni che il dio dell’Olimpo condivideva con lui divenendone complice e signore, piaga e coltello, vittima e carnefice.

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