di Matteo Calderara
Giorgio la vide la prima volta nella notte più fredda dell'anno, le ruote del bus che trituravano il ghiaccio che copriva le strade, nuova neve che iniziava a frustare il finestrino.
Alle cinque di mattina Giorgio smetteva di stampare i giornali, salutava i colleghi, camminava per cinquanta metri fino alla fermata, e aspettava sbadigliando l'autobus notturno. Venti minuti dopo scendeva, si trascinava sempre sbadigliando a casa sua, e si preparava a dormire tutto il giorno.
Ma quella notte, tre fermate dopo la partenza, la ragazza salì sull'autobus. In gonna corta, sandali aperti, canottiera, un foulard intorno al collo. Vestita come in un pomeriggio di maggio, nella notte più fredda dell'anno. Con i sandali aperti, incurante del ghiaccio che copriva le strade. Giorgio la guardò affascinato, mentre la ragazza andava a sedersi nel posto più lontano dall'autista. La guardò scendere dall'autobus, due fermate prima della sua. La guardò allontanarsi nella notte, incurante della neve che cadeva tra i suoi bellissimi capelli neri.
La ragazza tornò la notte dopo, e quella dopo ancora. Tornò tutte le sere della settimana, tranne il venerdì. Tutti i giorni di quel mese tranne il venerdì, Giorgio la guardava salire dopo tre fermate dopo la partenza e scendere due fermate prima dell'arrivo. Sempre vestita come in un pomeriggio di maggio, nelle rigide notti di un inverno freddissimo.
Giorgio sentiva dentro di sé che quella era la donna della sua vita, ma la timidezza che lo attanagliava non gli permetteva di prendere nessuna iniziativa. In effetti, più che timido, con le donne era davvero impedito.
La sua goffaggine si era perfezionata nel corso del tempo, fin da bambino, aveva collezionato una serie di vere e proprie figuracce , che non avevano fatto altro che renderlo sempre più insicuro e impacciato. Il suo primo grande amore risaliva alla prima elementare, lei si chiamava Sara e quando lui, prendendo il coraggio a 4 mani, con il cuore che gli andava a mille, madido di sudore, dopo aver bevuto 3 succhi di frutta per farsi coraggio, le disse “tu mi piaci” per la fortissima emozione non riuscì a trattenere la pipì e si ritrovò in un piccolo laghetto con davanti la sua adorata Sara che, con il sadismo che contraddistingue i bambini di quell’età, cominciò a prenderlo in giro richiamando l’attenzione di tutti i suoi compagni di classe che da quel giorno lo soprannominarono “TU MI PIPI’ACI”.
Alle scuole medie conobbe il secondo grande amore: Giusi. Giusi era una ragazza di 13 anni che ne dimostrava almeno 20, aveva già un corpo da adulta con un seno che risvegliava in lui nuove e intense sensazioni, sensazioni talmente forti che Giorgio, tutte le volte che le parlava, non riusciva a togliere lo sguardo da lì, quando finalmente trovò la forza dentro di sé, le chiese se per caso, in via del tutto eccezionale, se non aveva impegni, con comodo, avesse mai potuto prendere in considerazione la pur remota ipotesi di andare con lui un pomeriggio a sua scelta, a prendere un gelato, ovviamente pronunciò tutta questa frase con lo sguardo fisso sul seno. Giusi non si scompose più di tanto e gli rispose “verrò a prendere un gelato con te, solo se mi sai dire di che colore sono i miei occhi” , fu in quel momento che lui si rese conto che in tutti quei mesi non l’aveva mai guardata attentamente in viso e la risposta, maledizione!, proprio non la sapeva. Provò a concentrarsi, ma l’unica cosa che gli appariva davanti era solo ed esclusivamente quel seno, alla fine, con un filo di voce disse “rosa?” , lei si girò e se ne andò dicendogli “pervertito!”.
Negli anni a seguire fu un susseguirsi di fallimenti: Lisa la vegetariana che al primo appuntamento portò a cena in una steack house, poi Vittoria l’animalista alla quale investì il cane sotto casa, Rachele l’attivista alla quale Giorgio si presentò con maglietta di Che Guevara, peccato che lei fosse un’attivista di estrema destra. Quella sera, sull’autobus, Giorgio si sarebbe giocato tutto, aveva preparato minuziosamente ogni dettaglio in quei mesi, sapeva che lei aveva gli occhi azzurri, che probabilmente era di sinistra, mangiava di tutto, amava gli animali, inoltre, per sicurezza, non toccava liquidi da almeno 8 ore. Si alzò dal sedile la raggiunse vicino all’uscita e le chiese “scusa, posso sapere il tuo nome?” lei lo guardò con aria interrogativa e rispose “Sorry I’m english, I don’t speack italian”, poi scese e lo lasciò lì in piedi sull’autobus incapace di proferire parola.
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