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leggere nuoce gravemente all'ignoranza

"La Regina e il Vento" di Leila Mascano

di Leila Mascano

C'era una volta una bella regina che viveva in un castello a picco sul mare. Ella aveva occhi placidi e sereni, il cui sguardo sembrava scorgesse cose invisibili agli altri. Per quegli occhi il re l'aveva sposata, ma presto si era persuaso che non vi era mistero in quello sguardo; semplicemente, la regina sembrava un po' ottusa, cosa della quale, a seconda delle sue personali vicende, egli talora si rallegrava, talora si irritava.
Quanto alla regina, ella aveva apprezzato la prestanza fisica del re, tuttavia la stupiva la sua incapacità di penetrare nel cuore delle cose, sicché aveva finito col considerarlo un grande bambino ottuso e un po' maldestro, cosa della quale ( non avendo vicende sue proprie ) talora si doleva e talora si inteneriva. Quella sua abitudine, per esempio, di non abbandonare mai la sua scintillante corazza, finiva per creare un certo imbarazzo nei momenti di maggiore intimità. Certi silenzi del re, specialmente quando era preoccupato ( il che avveniva spesso ) le davano la tentazione di bussare dolcemente contro la celata dell'elmo:
- Caro, sei sempre lì?
Solo il timore ( o il sospetto ) che egli fosse effettivamente uscito per lasciarla sola con la corazza vuota e silenziosa le impediva di fare quel gesto, di porre quella domanda. La differenza, del resto, sarebbe stata irrilevante.
Il re era sempre occupato in faccende con l'imperatore. Se non erano guerre erano tornei o la caccia, insomma alla regina restava moltissimo tempo.
Il castello aveva una grande terrazza battuta dal vento; la regina vi passava lunghe ore, gli occhi fissi sul mare. I suoi pensieri le volavano intorno come gabbiani prima di svanire verso l'orizzonte, finché ella non restava con la testa vuota e leggera, non meno sconosciuta e misteriosa a sé che agli altri.
Tutto cominciò un giorno di primavera. Si badi bene che fino a quel giorno ( questo per mettere a tacere le malelingue ) il vento non era stato che vento, a tenerle compagnia.
Così quel giorno tiepido e ridente increspava il mare e le scompigliava i capelli. Un fiore le cadde in grembo e lei lo raccolse; si trattava della piccola stella bianca di un gelsomino profumatissimo. Questa regina, peraltro poco incline ai gesti sentimentali, colta da un impulso irresistibile portò il fiore alle labbra e lo baciò. Fu questo l'inizio di tutto. Lei lo vide! O meglio, lui le si mostrò. Era furbo, che credete? Il vento, dico. Benché dopo le parve incredibile aver preso un simile abbaglio, le parve un bimbetto. Le braccine tiepide le cingevano il collo, le piccole dita le scioglievano i capelli, la bocca tenera profumata di latte le baciava il collo in goffe imitazioni di baci e lei rideva, spettinata, prestandosi al gioco, fingendo di difendersi, gli occhi stellanti e l'alito di gelsomino, e già rientrando nelle sue stanze sembrava reduce da un incontro d'amore. L'ombra di un sorriso le abbellì l'angolo destro della bocca per tutta la giornata. Un refolo di vento sul cuscino le porse il bacio della buonanotte dell'amorino biondo col quale aveva così lietamente giocato al mattino.
Il giorno seguente il vento spazzò via le nuvole. Nell'azzurro della terrazza i suoi giochi furono un poco più sfrenati. Nel vortice di un balletto le sollevò bruscamente le gonne e così lei vide bene, rossa di confusione, che l'amorino era cresciuto in fretta! Ammesso che questo bellissimo adolescente fosse l'amorino di ieri. Riconosceva la curva soave della guancia, le belle labbra gonfie e imbronciate, i riccioli biondi, non il sorriso! Il sorriso era piuttosto quello di un fauno, e le cose che le sussurrava, accidenti! Non erano di quelle che si trovano nelle favole. Benedetto ragazzo! Le sue mani, affusolate e sottili, sembravano moltiplicarsi in sfioramenti leggeri che presto divennero carezze sempre più audaci. La regina arrossiva, rideva, s'indignava. Ad un tratto lui la bloccò con forza contro il parapetto, la inchiodò mettendole un ginocchio tra le gambe tanto che lei gridò e subito lui si sciolse, la liberò dalla sua forza, e mentre lei si ricomponeva arrabbiatissima e con la consapevolezza di essersi spinta troppo oltre, gli sussurrò di odiarlo. Mentiva e lo sapeva, ma lo ignorava l'irruente ragazzo. Lo schiaffo del vento la colpì con forza e lei pianse. Scappò via mentre lui le scuoteva addosso gli alberi del viale. Una pioggia di fiori le creava un tappeto davanti. Così perse il cuore la regina, il senno ( ma questo capita a tutti gli innamorati ) e presto, come vedremo, tutto il resto. Gli incontri sulla terrazza si fecero più movimentati, finalmente anche la regina ebbe i suoi tornei. Molto si doveva al fatto che il vento, naturalmente, non aveva corazza e non trovava ostacoli ai suoi desideri; certo che si faceva sempre più audace.
- Sono pazza ad abbandonarmi così! protestava lei per sottrarsi a quei baci e a quelle carezze. Col vento poi! Ma si è mai sentito!
- Siamo in una favola! rideva lui, con quella bella voce un po' aspra che qualche volta le cantava parole d'amore con tanta dolcezza.
- Ma le favole le leggono i bambini; ti sembrano cose da bambini queste?
- Giuro che farò volare le pagine. Nessun bambino leggerà queste cose.
Lei si chiuse in casa. Soffriva. Il suo corpo sembrava percorso da un fremito, come la groppa dei cavalli sotto le carezze. Lei, una donna così tranquilla!
Lui batteva contro le finestre, supplicava, pregava, lusingava.La mimosa davanti alla camera da letto della regina fioriva. Piccole sfere d'oro, piumate e gonfie, entravano nella sua stanza. Lui scuoteva quell'albero, capite, per stordirla con quella pioggia d'oro. Gonfiava le tende, le mandava i profumi. Alla fine ( era un uomo, accidenti! ) si stancò, spalancò le finestre. In controluce, nel sole, i suoi capelli erano d'oro come le mimose. Gli occhi erano azzurri, imperiosi.
- Ti amo, le disse. O cavolo ( in effetti usò una parola più forte ), se ti amo, e lei gli spalancò le braccia. E non solo.
Diventarono amanti ed il vento era proprio un uomo e molto, molto virile. Somigliava al dio Apollo, ora, ma anche un po' al fauno della terrazza e al bambino del primo incontro, perciò, ragazze, non giudichiamo troppo male la regina. Quante di noi avrebbero saputo resistere?
Gli amanti felici divennero imprudenti. Chi non vide la regina al torneo, seduta a fianco dell'imperatore, la gola rovesciata ai baci del vento, le vesti scompigliate? Lui, furbo, naturalmente era invisibile, ma come nascondere l'estasi di lei?
- Come siete pallida, regina. notò l'imperatore, premuroso. Vi dà forse noia il vento?
- Oh no, mi dà un grandissimo piacere, replicò lei, maliziosa e sfacciata, e di lì a poco quasi ne svenne.
L'imperatore, poverino, di donne ne aveva avute tante, ma poiché a nessuna aveva fatto un simile effetto, attribuì quel malore all'emozione poiché il re in persona, in quello stesso momento, aveva vinto il torneo.
La regina appariva trasformata. Il re, che forse tanto ottuso non era, o forse proprio per quello, finì per essere folgorato da un pensiero: Ha un amante! Divenne irascibile e sospettoso, osservava la regina senza bontà, senza indulgenza.
- Vattene per un po', pregò lei il suo amante, e lui obbedì, con la morte nel cuore.
Quell'estate fu torrida. Le vele delle navi non si gonfiavano più, restavano piatte e inutili sul mare calmo come un tavola. I campi ardevano nella calura, il sole dardeggiava dall'alto implacabile e la gente implorava il ritorno del vento. Non una nuvola solcava il cielo azzurro né un fremito il corpo e l'anima della regina, che non voleva pensare a lui. Ma non ci riuscì a lungo.
- Torna, sussurrò nel buio della stanza ed egli tornò, Sembravano impazziti, la regina e il vento. Lei era sempre sull'antica terrazza, scarmigliata, pazza: una pazza felice, che rideva di gioia e di piacere. Così la sorprese il re, che per quell'unica volta vide oltre le cose e diventò una belva. Come dargli torto? Vide la sua bella e casta moglie tra le braccia di un giovanotto biondo, vigoroso e per giunta senza vestiti, tutt'e due occupati e affascinati dalla reciproca compagnia. Ma quello che lo fece impazzire fu la risata di lei, un grido trionfante e gioioso che mai sua maestà le aveva strappato ( lui non sarebbe stato un cattivo amante, ma l'abitudine di tenersi la corazza guastava parecchio le cose. ) Cosa poteva fare, povero re? Afferrò la moglie, la trascinò a palazzo chiamandola con nomi che lei non comprese, ma il cui senso scarsamente elogiativo non le sfuggì, e la sbatté nella sua stanza, in lacrime e disfatta ( più che per le precedenti occupazioni che per la furia di sua maestà. )
Così la notte la povera regina era diventata bruttissima a furia di piangere e il re spaziava tra una vasta gamma di provvedimenti, misurando a grandi passi il salone delle armi, indeciso tra un bel rogo o l'impiccagione, sentendosi però più propenso per il rogo, adattissimo a una simile strega.
E il vento? Schiaffeggiava il mare, cavalcava le onde, rovesciava le barche, scoperchiava le case e soprattutto girava intorno al castello con una furia tale che le quattro torrette quadrate diventarono tonde.
Gli alberi volavano come fiammiferi e il vento ruggiva di rabbia, la sua voce era un tuono. Ma la sua furia si schiantava contro le mura del castello finché...
...finché trovò un piccolo passaggio nel buco di una serratura. Diventò un refolo, piccolo come un ricciolo, e s'infilò dentro. Il resto fu un gioco da ragazzi. Un gran mantello nero gli sbatteva sulle spalle e lo abbelliva molto, facendolo sentire assolutamente all'altezza delle aspettative di lei quando abbatté la porta, la prese tra le braccia tutta gonfia di lacrime e la trascinò in cortile dove non potè fare a meno di baciarla, anzi la faccenda andò in po' avanti . Il re nel frattempo, messo in allarme dai rumori , aveva mandato un messo a convocare un drappello di cavalieri che arrivava in quel momento. Al rumore degli zoccoli dei cavalli i due sciagurati ebbero un sussulto di buonsenso. Il vento afferrò il mantello e tenendola abbracciata si sollevò in aria, ma nella fretta dimenticò di rendersi invisibile, e tutti li videro nudi e abbracciati librarsi nel cielo rosa dell'alba; per fortuna il mantello, un po' vela un po' lenzuolo, in parte li copriva e presto non furono più grandi di un gabbiano che volava sul mare, verso l'orizzonte.

Il concerto del mare

Così ora Leila ci trasporta nel mondo delle favole e lo fa da par sua facendoci entrare nei personaggi come fossimo noi i protagonisti. Per me poi, che al vento ho dedicato uno di miei quadri preferiti, "L'amante del vento" appunto, è stata una vera sorpresa assaporare una favola così piacevole, così poetica, così elegantemente erotica da oscurare qualsiasi altro narratore di questo genere. E il mio quadro, dipinto quando ancora Leila non conoscevo, sembra la sintesi pittorica della sua meravigliosa fantasia. Una favola piena di profumi, di terrazzi incantati che s'affacciano sul mare che sembra accompagnare con la musica la vibrante storia d’amore. La regina , il vento e il concerto del mare.

Favole

Questa terrazza esiste, ed è davvero la terrazza di un castello molto antico, angioino addirittura, e che attraverso infinite trasformazioni è arrivato fino ai nostri giorni. Si trova sulla costiera sorrentina, e per la sua posizione sembra circondata dal mare. E' bello fantasticare seguendo il volo dei gabbiani, e le favole mi sono sempre piaciute. Grazie Dino per le parole di apprezzamento, davvero questa fiaba un po' buffa un po' amorosa mi è molto cara.

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