di Giorgio Ottaviani
Solo l'amore può essere eterno...
All'ultima mano Franz scende con il cavallo di bastoni.
“Tutto mio” dice, con un bel sorriso alla carta vetrata. Poi, rivolto al barista:
“Palla, porta un paio di birre.”
Quello, impegnato a distribuire, in modo uniforme, lo sporco sul piano d'acciaio del bancone massaggiandolo con una spugnetta lercia, solleva lo sguardo e ripete in tono interrogativo:
“Due?”
“Si, grandi, mi raccomando, tanto pago io.” Rispondo.
Palla arriva con le birre. Cammina dondolando, con le suole che scricchiolano ad ogni passo il loro soffocato grido di dolore. Ha il cranio imperlato di goccioline come i due boccali. Il suo però è sudore. Poggia il vassoio sul tavolo e si asciuga le mani col grembiule legato in un prossimità della impercettibile rientranza fra torace e ventre che ha eletto in modo arbitrario a punto vita.
“Sette euro.”
E riamane fermo come un parchimetro in attesa delle monete. Pago. Palla prende i soldi, torna lento dietro al bancone e riprende a massaggiarlo con la spugnetta.
“E' che non stai concentrato” mi sfotte Franz. Ingolla una bella sorsata solennizzata da un rutto, poi riprende serio: “ma stai ancora a pensare a quella? Come si chiamava? A si Irina. Certo che ha fatto una brutta fine, ma lo sapevi pure tu che mestiere faceva.”
Lo mando a farsi fottere, ma poco convinto. Ha ragione, sto ancora pensando a lei.
Prima che attacchi di nuovo i suoi discorsi da amico fraterno mi alzo e in piedi finisco la mia birra.
“Io vado. Ho già perso abbastanza e sono pure stanco.” Mentre mi allontano, mi raggiunge il saluto biascicato di Franz e pur senza poterlo vedere, immagino il suo sguardo.
Fuori le luci delle poche automobili ancora in giro disegnano, nell'aria appiccicaticcia, scie irregolari come strappi. All'incrocio con la statale, un luna park di semafori lampeggia il suo inutile giallo. L'avevo conosciuta proprio lì.
Verso le due il Palla s'era tolto il grembiule e aveva cominciato a mettere le sedie vuote sui tavoli. Non ha un orario preciso di chiusura, ma quando comincia a mettere le sedie sui tavoli, quella è l'ora. C'eravamo dispersi in fretta fuori dal bar, come blatte in libera uscita, ed io m'ero diretto da solo verso la statale. La luce gialla che balenava in mezzo all'incrocio, stampava sull'asfalto l'ombra d'uno strano fiore, con quattro petali a forma di donna. Avevo affrettato il passo, raggiunto l'incrocio e voltato l'angolo. Ferma sul bordo del marciapiedi, accanto alla fermata del tram, lei, Irina.
Bionda, con la faccia da angelo. Una gonna fuxia alta quanto una sciarpa metteva in risalto delle gambe dalla pelle color latte. Mi chiese una sigaretta e cominciammo a parlare finché non arrivò l'ultima corsa della notte. Salii anch'io. Nel tram vuoto, l'afrore lasciato dai molti corpi sudati che l'avevano riempito durante il giorno ristagnava ancora, attaccato ai sedili, spalmato sui finestrini, come un velo invisibile. Sedemmo vicini e continuammo a chiacchierare. Mi raccontò che veniva da un'altra città ed era arrivata qui con il suo uomo. Poi lui l'aveva mollata, era rimasta sola e s'era dovuta arrangiare. Scese ad una delle ultime fermate: un quartiere di case alveare intramezzate da costruzioni basse, nate come autorimesse comuni, trasformate in fatiscenti attività commerciale. Mi offrii di accompagnarla, ma non volle. Andai sulla fila di sedili in fondo alla vettura e mi misi comodo, mentre il tram continuava verso il capolinea finché alle prime luci dell'alba non tornò a scaricarmi da dove ero salito.
La sera dopo la trovai di nuovo, sempre lì, alla fermata del tram e la sera dopo ancora. Ormai era diventato un appuntamento fisso. Per almeno tre settimane, continuai a vederla. L'ascoltavo parlare, mentre sui finestrini del tram la città di notte passava come una vecchia pellicola, graffiata dai fari delle poche automobili ancora in giro. Il suo volto dolce, da angelo malizioso e quel suo modo di fare, sempre in bilico fra il serio e lo scherzo, in cui mi faceva capire che mi desiderava, mi faceva tornare alla mente Giovanna. Con lei era finita nell'unico modo in cui poteva finire, ma Irina capivo che era diversa. Se ne era accorto pure Franz.
“Finalmente ne hai trovata un'altra” mi diceva. “Oh, speriamo che questa non sparisca nel nulla come quell'altra.”
Ci avevo messo del tempo a riprendermi dalla storia con Giovanna. Io ero stato gentile con lei, le avevo mostrato tutto il mio amore. L'avevo sempre trattata come un fiore e come un fiore avrei voluto coglierla e amarla, ma lei mi aveva risposto con disprezzo, mi aveva umiliato.
Quella sera mi feci coraggio e quando Irina giunse alla sua fermata, scesi anch'io.
“Ti accompagno a casa” dissi.
“E magari ti fermi da me, Vero?” Nella sua voce due terzi di dolcezza, un terzo di femminilità a due gocce di perversione come l'angostura a rendere perfetto il cocktail.
Le presi la mano. Mi rivolse uno sguardo meravigliato. Sapevo che mi desiderava e tutto fu come doveva essere. A casa sua mi spogliò e non solo dei vestiti, ma mise a nudo anche la mia anima, poi mi avvolse in un miele di dolcezza e mi scaldò d'amore. Mi addormentai con lei, con la testa poggiata sul suo seno, come un bambino.
La mattina una lama di luce che attraversava la stanza e il gorgogliare di una caffettiera mi fecero aprire gli occhi, poco prima che lei si avvicinasse a me con una tazza fumante, pronunciando il mio nome.
Mi vestii e facemmo colazione assieme. Poi la salutai con un bacio e feci per uscire. Fu allora che improvvisamente impazzì.
Mi arpionò sulla porta afferrandomi per il maglione:
“Dove credi di andare? Non te ne vai da nessuna parte se prima non mi paghi, carino!”
“Ma io ti amo” dissi, “il mio è amore.”
“Amore un cazzo, cocco, l'amore si paga.”
L'ho pagata, come avevo pagato Giovanna. Solo l'amore può essere eterno, tutto il resto se non è eterno è mortale e lei come l'altra se non era capace di amare, non meritava di vivere.
Sono andato via e ho lasciato che la trovassero li. La dolce Irina, angelo biondo dalla pella di latte, come una candida ninfea in un lago rosso sangue.
Ormai però sento che posso riuscire a non pensare più a lei.
Una macchina sportiva si ferma, vicino alla fermata dove di solito stava Irina. Scende una ragazza e l'auto riparte.
Guarda vero di me, sorride.
“Ciao” mi dice “Mi fai un po' di compagnia intanto che arriva il tram?”
Ha un viso dolce e dalla voce capisco che si sente sola. Ha voglia di un po' di compagnia. Magari è un segno del destino. Potrebbe essere quella giusta. In fondo basterebbe solo un po' d'amore.
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